Contro il lavoro donne al lavoro

Dall’inchiesta di “Newsweek” di Barbie Nadeau, comparsa in italiano su Internazionale della settimana dal 26/11/10 al 2/12/10 emerge che solo il 45% delle italiane svolge un’occupazione retribuita, a fronte dell’80% delle norvegesi e il 72% delle britanniche. Per di più ricevono il 20% in meno della paga maschile, solo il 7% occupano ruoli dirigenziali (contro il 33% delle Scandinave) e svolgono lavori domestici per 21 ore a settimana, ben oltre la media europea e sono superate solo da slovacche e slovene (le donne statunitensi, si occupano della casa per sole quattro ore).

Gli uomini hanno al giorno ben 80 minuti di tempo libero in più.

Per questo, condividiamo un passo dell’inchiesta Rosso, scritta nel “vicino” ’76.

“L’inconscio modella il corpo e condiziona il nostro agire, d’accordo; liberare il nostro corpo è ancorarsi alla materia, d’accordo; ma è materiale anche l’atto della vendita del nostro corpo che ogni giorno, operaia, puttana o casalinga dobbiamo fare per sopravvivere. Liberare il nostro corpo deve significare liberarlo dalla schiavitù del lavoro, gigantesca barriera che incontriamo sulla nostra strada, che ci limita nel definire i tempi, i mezzi e i luoghi della nostra liberazione. La psicologia ‘femminile’ della rassegnazione e dell’autocomisserazione è lo sbocco più semplice per le donne abituate da millenni a vivere come ‘naturale’ la loro condizione subalterna. E’ questo meccanismo che maggiormente abbiamo interiorizzato, che dobbiamo spazzare via e che ritroviamo anche dopo anni di pratica dell’inconscio.

Queste separazioni e polarizzazioni tematiche sono il motivo per cui non ci si può identificare in nessuna di queste pratiche perché lottiamo contro le separazioni che da sempre abbiamo vissuto, tra noi e il nostro corpo, tra noi e la nostra mente, tra noi e il mondo esterno; perché vogliamo individuare, oltre che problemi generali, anche forme di lotta nostre; perche vogliamo fare autocoscienza e contemporaneamente riappropriarci di tutto ciò di cui siamo state espropriate (spazi, luoghi, corpo, emozioni, oggetti…); perché vogliamo realizzare subito i nostri bisogni e trasformare i bisogni in soddisfazioni.

Vogliamo tutto e vogliamo creare le condizioni per averlo, perché siamo anche coscienti del fatto che c’è un capitale con tutti i suoi strumenti, stato e istituzioni, che ce lo impediscono, nella misura in cui vogliono obbligarci in ruoli prefissati, ad una missione altruistica che è solo sfruttamento, all’ideologia del dovere, del sacrificio, della rassegnazione.

Contro tutto questo vogliamo essere capaci di tanta violenza da distruggere tutto ciò che ci opprime, per realizzare la nuova storia della nostra felicità e del nostro godimento”.